Cena al Buio a Kuala Lumpur

Cena al Buio a Kuala Lumpur

Se cerchi tra le cose particolari da fare in Malesia, la cena al buio sicuramente è una di quelle. E’ una di quelle esperienze che difficilmente dimenticherai e che in alcuni casi possono davvero lasciare un segno. Il Dining in the Dark è un ristorante al buio. Nel senso che non c’è neppure l’ombra di una luce, non vedi nulla. Non importa quanto tempo passi al suo interno, non vedrai niente di niente. Se già questo basta per vivere una cena incredibile, aggiungi il fatto di essere in un altro continente con un’altra cultura gastronomica e un’altra lingua.

In cosa consiste l’esperienza della cena al buio

DOVE – Il ristorante è nella zona della vita notturna di Kuala Lumpur quindi è facile imbattercisi anche per caso.

COSA – L’esperienza della cena al buio è composta da tre parti: in un aperitivo di preparazione, nella cena e nel questionario finale.

IL POSTO – Gli spazi consistono in una zona buia per la cena, una grande zona di luce fioca dove si trova il bar e un’anticamera che divide le due zone.

IL MENU – Durante l’aperitivo puoi scegliere il tipo di menu che preferisci tra quelli disponibili (classic, vegetarian, wine). Ovviamente non sono specificati i piatti, ma solo il numero di portate.

REGOLE – Prima di entrare dovrete lasciare negli armadietti gli oggetti proibiti: accendini, cellulari, fiammiferi ecc. Durante la cena vi verrà spiegato dove sono posizionate le cose, come ad esempio il bicchiere del vino e quello dell’acqua, e vi verrà chiesto di rimetterle sempre nello stesso posto.

IL QUESTIONARIO – Alla fine della cena potete compilare un questionario cercando di indovinare gli ingredienti che avete assaggiato.

Jalan Alor, centro della vita notturna, nei pressi del Dinning in the dark per la cena albuio
Jalan Alor, centro della vita notturna

Consigli

  • Vai. Senza dubbio è un’esperienza che si può capire solo provandola quindi buttati.
  • Vai, ma con una persona con cui hai davvero sintonia. La maggior parte delle informazioni che riceviamo sono date dalla vista e azzerando questo senso risalteranno gli altri.
  • VAI! Se hai paura di incontrare le difficoltà che ho avuto io, chiedi di sedere ad un tavolo vicino all’uscita.

La mia esperienza di cena al buio

Un amico ci ha consigliato di provare il Dining in the Dark dicendoci che non poteva descrivere l’esperienza o farci capire cosa si prova, bisognava viverla. Inutile dire che aveva molto più ragione di quello che immaginavo. Avevo visto di cosa si trattava su un programma televisivo quindi sapevo cosa aspettarmi ed ero leggermente curiosa, mentre Stefano lo era molto più di me.

L’aperitivo

Entriamo nel ristorante e chiediamo un tavolo. In attesa della preparazione del tavolo ci danno un drink di benvenuto di cui dobbiamo provare a indovinare gli ingredienti e ci spiegano come si svolgerà la cena al buio. Ci consegnano delle bende e un vasetto di riso a testa per allenarci a trovare le graffette nascoste all’interno. Tutta questa preparazione è divertente, ma non ci può minimamente preparare a quello che sta per succedere.

La cena al buio

Il tavolo è pronto e iniziamo la nostra cena al buio. Ci spiegano che una persona ci seguirà durante tutta la cena e dovremo seguire le sue istruzioni. Entriamo in un’anticamera e facciamo la conoscenza della nostra guida che scopriamo essere un ragazzo cieco. Metto le mani sulle sue spalle e Stefano sulle mie. Camminiamo tra i tavoli, il locale non è grande, ma giriamo quel tanto che basta per disorientarmi. Inizia a salire una sorta di ansia.

Arriviamo al tavolo e ci sediamo. Sembra assurdo, ma anche azioni semplici come sedersi diventano surreali. La nostra guida ci parla spiegandoci dove sono posizionate le cose e di chiamare il suo nome in caso di bisogno, ma io sono alla disperata ricerca della luce che indica l’uscita d’emergenza. La guida se ne va e io inizio a far fatica a respirare. Ma qual era il suo nome?

Stefano cerca di tranquillizzarmi, dirmi che anche lui si sentiva strano inizialmente, ma che se mi concentro sulle cose che ho intorno va meglio. Ci provo: alla mia sinistra delle persone parlano in una lingua sconosciuta, chissà perché mi immagino siano indiani. Chissà perché immagino anche che il tavolo sia in legno verniciato di nero. Sopra di me in lontananza vedo un cerchio di puntini rossi, un altro è dietro di me, ma non emettono luce. Non so da dove siamo entrati, non so dov’è l’uscita e non c’è nessun segnale di uscita d’emergenza. Ansia.

Continuo a non riuscire a respirare e inizio a sentire un formicolio alle mani. Torna la guida e gli chiedo tre volte il nome: Radar. Se ne va di nuovo e inizio a toccare il tavolo finendo con la mano sul piatto con l’antipasto. Provo a bere l’acqua che ci ha portato, ma non mi sento più le mani. Stefano mi dice di stare tranquilla e prendere la sua mano, per poi esclamare: “ma come fai ad avere le mani già sporche che neppure mi ero accorto che era arrivato l’antipasto?”. Ridiamo, però inizia a girare la testa, non respiro e credo che potrei svenire a momenti. Inizio a chiamare Radar e quando arriva gli dico con il mio pessimo inglese che non sto bene. Mi chiede se voglio una benda per sentirmi più a mio agio, ma riesco solo a ripetere che non sto bene devo uscire da li.

La fuga

Luce. Il ragazzo del bar mi dà dell’acqua e cerca di rassicurarmi dicendo che è normale, che può capitare e di prendermi tutto il tempo di cui ho bisogno per calmarmi prima di rientrare. Ed ecco che solo al pensiero di rientrare torna il panico. Mi scuso un migliaio di volte, pago il bicchiere di vino e l’antipasto e me ne vado.

Quando finalmente riesco a respirare normalmente inizio a ripensare all’accaduto. Sapevo cosa sarei andata a fare e non mi spaventava quindi non capisco cosa sia successo. Mi chiedo come sia possibile l’assenza di una luce per l’uscita d’emergenza, visto che la cosa che più mi ha messo in crisi è stata proprio l’assenza di un punto di riferimento e la mancanza di orientamento. Ripenso a quei puntini rossi e capisco che erano sicuramente delle telecamere a infrarosso. Chissà quanto sono sembrata ridicola alle telecamere. Mi sento stupida e in colpa perché io, un’optometrista, ho detto a un ragazzo cieco che non potevo stare in una stanza buia. Non solo, ho costretto Stefano, a cui quell’esperienza stava dando emozioni pazzesche, ad andarsene. In definitiva a quanto pare ho la fobia del buio!

Conclusione

Se anche è stata un’esperienza difficile penso che la cena al buio sia assolutamente da provare. E’ incredibile riuscire a immergersi nel buio cercando di immaginare cosa può provare un non vedente e scoprire la difficoltà nel compiere azioni banali come sederti, mangiare o riempire un bicchiere d’acqua. Tutti i sensi si amplificano e puoi goderti un’esperienza già di per se unica, ma con l’aggiunta di farlo in un posto con cultura e lingua diverse dalle tue.

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