Quattro esperienze per odiare la montagna

Quattro esperienze per odiare la montagna

Hai presente quelle persone che dicono “Montagna? Non fa per me!”? Ecco, io ero una di quelle persone, quelle che dicono di odiare la montagna. Il perché è semplice: ho avuto talmente tante brutte esperienze che ti sfido a non pensare lo stesso dopo averle lette!

Se hai letto qualche articolo del blog o se mi segui sui social, avrai notato che nel tempo ho cambiato idea. Ma prima di raccontarti cosa mi ha fatto innamorare della montagna, voglio raccontarti le peggiori disavventure che mi sono capitate. Perché fino a qualche anno fa sembrava quasi che la sfortuna mi perseguitasse e che dovesse per forza capitare qualcosa ogni volta che mettevo piede in montagna.

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I primi ricordi della montagna

Se penso alle prime volte in montagna i miei ricordi sono molto frammentati, del resto ero molto piccola. Ricordo la calzamaglia da infilare prima di uscire dalla macchina. E ricordo la musica in macchina con mio padre, perché era lui che mi ci portava. Ma soprattutto ricordo il freddo.

È probabile che mio padre in montagna mi ci abbia portato più volte, eppure io ne ricordo solo una. Ricordo la volta in cui mi sono trovata da sola in mezzo alla neve fresca. Mi trovavo poco distante dalla baita in cui mi stava aspettando, ma per raggiungerla ci ho messo tantissimo tempo. Per riuscirci mi sono scavata la strada con le mani e, negli anni novanta, i vestiti tecnici non erano come quelli di oggi.

Ho finito la giornata davanti al fuoco, sperando di riuscire a recuperare l’uso delle mani. Ma non potevo sapere che questo non era nulla rispetto a quello che mi sarebbe successo più avanti. Quindi continua a leggere per scoprire le esperienze che mi hanno fatto odiare la montagna.

Il recupero in elicottero

Negli anni seguenti ho cercato di evitare il più possibile la montagna, proprio per via del freddo. Però, quando intorno ai dieci anni ho deciso di partecipare al campo scuola estivo organizzato dalla parrocchia, ho pensato che sarebbe andata meglio. Ero con i miei amici, faceva caldo, cosa poteva accadermi?

Siamo partiti per l’escursione al mattino presto. Abbiamo seguito il percorso e ci siamo divertiti tanto. Del resto quando si è bambini non si fa caso alla fatica se ci si sta divertendo. Ad un certo punto però iniziamo tutti ad essere davvero stanchi, il sole inizia a calare e abbiamo voglia di tornare. Tra noi bambini inizia a girare una voce: ci siamo persi. Ricordo il parroco, in cima all’altura, che guarda disperato il bosco sotto di noi sperando di capire da che parte andare. La nostra casa è proprio lì sotto, ma per arrivarci sembra non esserci alcuna strada. Non ci rimane che avventurarci nel bosco fuori sentiero.

Come se non bastasse, scopriamo che l’unico modo per proseguire è attraversare una frana. Nessuno si fa prendere dal panico e andiamo, anche se la situazione inizia ad essere pericolosa. Ad un certo punto si sentono delle urla. Cadono dei sassi e un ragazzo viene colpito in testa. Non ho idea di cosa stia succedendo perché la notizia passa di bocca in bocca, ma io sono alla fine della fila e non ho modo di vedere cosa stia succedendo davanti. Continuiamo a camminare e proprio quando stiamo per terminare il punto più pericoloso, ritrovando il sentiero che ci porterà a valle, vediamo sopra alle nostre teste un elicottero, mandato per venirci a cercare.

Dopo questa esperienza ho iniziato a dire di odiare la montagna, anche se oltre alla paura ricordo anche la felicità del panino con la Nutella mentre i giornalisti ci scattavano qualche foto da mettere sul giornale.

L’infezione notturna

Ormai l’unica cosa che mi può spingere ad andare in montagna è un viaggio di gruppo, che capita qualche anno dopo, nell’estate dei miei sedici anni. Questa volta mi trovo nel nord della Spagna, per una vacanza studio. Durante questa vacanza è previsto un trekking in montagna con pernottamento all’esterno, per questo ci viene richiesto di portare con noi anche un sacco a pelo.

L’escursione è semplice e divertente. Camminiamo tra i boschi della Navarra e facciamo amicizia. Quando arriviamo in un torrente ci mettiamo il costume e ci tuffiamo senza pensarci due volte. Gli accompagnatori dopo un po’ ci chiedono di proseguire, ma noi ci divertiamo troppo tra cascate e acqua fredda. È a quel punto che scivolo. Il piede mi scivola sulla roccia bagnata e io metto a terra una mano per non cadere in mezzo ai sassi. Non mi faccio nulla, se non un piccolo taglietto sulla mano. Brucia un po’, come tutti i taglietti piccoli sulle mani, ma questo non mi ferma e continuo la mia giornata in compagnia come se nulla fosse.

La sera ci fermiamo a dormire sul portico di una chiesa chiusa, proprio affianco a un cimitero. Posizioniamo i nostri sacchi a pelo uno vicino all’altro, mangiamo i nostri panini, ci raccontiamo storie di paura e andiamo a dormire. La notte mi sveglio per il dolore alla mano. Non ho alcuna torcia e il cellulare non lo avevo portato con me. Non voglio svegliare nessuno, quindi aspetto che si faccia mattino, mentre sopporto il dolore.

La mattina mi sveglio con un bozzo nero sulla mano. Lo faccio subito presente agli accompagnatori, ma nessuno ha disinfettante e cerotti. Sciacquo la mano sotto a una fontanella, sperando che l’acqua fresca mi faccia passare un po’ di dolore, e porto pazienza. Solo una volta tornati nella casa vacanza mi riesco a far medicare la ferita che aveva chiaramente fatto infezione.

Già a questo punto inizierai a capire perché dicevo di odiare la montagna. Ma l’esperienza più difficile deve ancora arrivare.

La pecora nera

Quando all’università un mio caro amico mi ha detto che mi avrebbe ospitato nella sua casa in montagna per tre giorni di trekking insieme ad altri amici, gli ho subito detto che forse non era una buona idea. L’ho avvisato che non ero certo la persona adatta per fare dei trekking in montagna e che il mio livello di allenamento era davvero pessimo. Non avevo neppure delle scarpe da trekking! Lui però mi ha convinta ad andare, dicendo che ci saremmo divertiti, che non si può odiare la montagna e che non avremmo fatto nulla di complicato.

Prima di partire il mio amico ha condiviso l’itinerario e non appena l’ho visto ho pensato fosse esagerato. Gli ho detto più volte che non sarei mai riuscita ad affrontare le escursioni che aveva in programma di fare. La sua risposta però era sempre la stessa: “Questo percorso lo facevo da bambino”. A quel punto ho pensato che quelli che mi aveva mostrato erano dati tecnici e non potevo davvero capirne la difficoltà, visto che non sapevo nulla di montagna. Ma non mi sbagliavo. Il primo giorno abbiamo fatto un sentiero abbastanza corto, ma molto pendente. Il secondo giorno abbiamo affrontato un trekking molto lungo, con tanto di tormenta di neve (era Aprile se non ricordo male) in cima a una montagna.

È stato terribile. Non ne potevo più e stavo malissimo. Eravamo in cinque e dopo un po’ di tempo in tre hanno deciso di andare avanti senza aspettarmi, perché camminavo troppo lentamente. È rimasto con me solo il mio ragazzo dell’epoca e siamo arrivati alla malga, obiettivo del nostro trekking, un’ora dopo il resto del gruppo. Ho mangiato in fretta e sono partita dalla malga prima degli altri, per guadagnare terreno e non rimanere di nuovo indietro. Una volta a casa ho saputo che tutti erano andati dal mio ragazzo per dirgli quanto erano dispiaciuti di non aver potuto camminare insieme perché lui si era trovato costretto a stare con me. Mi sono sentita talmente mortificata che ho deciso che non sarei andata all’escursione del giorno seguente e che non avrei mai più messo piede in montagna.

Inizi a capire perché dicevo di odiare la montagna?

Perché ho cambiato idea

Vivevo a Valencia quando mi è capitata un’ottima offerta di lavoro. C’era solo un piccolo problema: dovevo trasferirmi a Livigno, nel cuore delle alpi, a 2000 metri d’altitudine.

Avrei potuto dire di no, e invece mi sono buttata. E già che c’ero ho provato a conoscere la montagna poco a poco. È stato così che ho scoperto che non era la montagna il problema, il problema erano le persone che in montagna mi ci avevano portato. Così ho iniziato a capire e a trarre degli insegnamenti da tutte le disavventure che mi erano capitate.

1 – L’abbigliamento tecnico è importante

Ho vissuto tre anni a Livigno, affrontando trekking a temperature estreme, come il capodanno a -26. L’abbigliamento fa la differenza. Probabilmente se negli anni ’90 avessi avuto la giusta attrezzatura, non avrei sofferto quel freddo indimenticabile.

2 – Impara a usare le mappe

Perdersi in montagna è davvero semplice. Ecco perché è importante informarsi bene sull’itinerario prima di partire, evitare di uscire dal sentiero e consultare le mappe in caso di dubbi. Se il parroco del campo scuola avesse fatto tutto questo, non ci saremmo trovati con un elicottero sopra le nostre teste.

3 – Metti sempre il Kit di pronto soccorso nello zaino

Portare dei ragazzi a fare un trekking e non avere un kit di pronto soccorso nello zaino è qualcosa di totalmente irresponsabile. Ecco perché il kit di pronto soccorso è sempre in zaino.

4 – Scegli la difficoltà del sentiero in modo che tutti possano percorrerlo

Nei tre anni che ho trascorso a Livigno mi sono venute a trovare diverse persone. Mai mi sarei sognata di portare un’amica con poca esperienza in montagna a fare la stessa escursione che ho proposto ad amici più esperti. Conoscere la montagna non significa solo saper andare in salita. Conoscere la montagna significa anche essere in grado di valutare la difficoltà di ogni sentiero e saper scegliere i percorsi a seconda di chi si sceglie di accompagnare.

Non si può odiare la montagna

La montagna è fatta di tante cose. C’è la montagna adatta a chi piace solo mangiare, c’è la montagna adatta a chi soffre di vertigini, c’è la montagna adatta a chi ha poco fiato. Ci sono sentieri adatti a tutti, bisogna essere capaci di sceglierli.

Perché se anche tu sei una di quelle persone che dicono di odiare la montagna, significa solo che non hai ancora trovato il modo giusto di viverla.

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